Mattinata nera e grigia,
niente neanche stavolta,
nessuno vuole la mia roba.
Ritorno a passo indolente
verso la fermata del bus;
Subito due signore si scostano,
si allontanano di qualche metro,
in effetti sono un po’ conciato male,
non ho sicuramente il vizio
di guardarmi allo specchio, prima di uscire;
Stivali o meglio anfibi militari neri,
pantaloni della tuta grigi sbiaditi,
maglione nero lurido e rattoppato,
giubbotto di pelle sdrucito e invecchiato male,
e poi i capelli di mezza misura,
arruffati e disordinati,
barba troppo lunga,
viso bianco ed occhiaie;
In effetti non hanno tutti i torti
ma non ho nulla di pericoloso,
se non i buoni sentimenti ( i peggiori ),
e nausea, e menefreghismo.
Arriva l’autobus,
Salgo su;
Quieto
mi siedo, ed osservo
lo sporco del vetro,
rende ancor più schifoso
il paesaggio tetro e piovoso,
dentro c'è poca luce e gialla,
gialla artificiale,
di quella luce
che evidenzia tutti i difetti;
Ed ognuno se ne sta li
sulle sue, col viso triste,
gli occhi ormai spenti;
Dietro di me, due ragazzine
canticchiano versi di una canzone,
del tipo < il tuo sorriso è così sincero,
abbracciami e baciami,
con amore baciami >
Che schifo assurdo,
schifo cantato da qualche nuova leggenda,
leggenda giovane e alla moda,
coi capelli ritti ( quello gli è rimasto di ritto );
E davanti un povero vecchio,
dondolante sulla sedia,
che parla da solo,
e a tutti fa un po’ timore,
ma a me fa più timore il cantante
che adesso sguazzerà nei soldi,
coi suoi baci freddi,
incapace di abbracciare e di sorridere.
L’autobus si ferma ad ogni curva,
la nausea aumenta,
e la gente
affannosa
entra ed esce,
senza guardarsi attorno,
senza cogliere niente,
senza dire niente,
senza sorridere,
senza parlare,
senza respirare,
senza vita,
senza.
Arriva la mia fermata,
scendo,
mi accendo una
sigaretta;
Già sto meglio.
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